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Il giustizialismo che fa moda... e che ti rende in immagine .
- È un mestiere che tira. È la maschera di questa lunga
stagione. Quando lo fa solo per soldi è una sorta di mastro Titta, se
invece ci mette il livore ideologico, l’orazione, il sorriso beffardo e
sopracciglio malfidato allora è roba raffinata, da tribuno, da avvocato
giacobino, da vecchio domenicano.
In ogni caso è un “affare”. L’importante è che si senta il tintinnar della pena. Non è solo una questione politica. È un carattere, un trauma infantile, un modo di guardare il mondo. C’è gente che vede nella giustizia una religione e la professa con il retrogusto di accendere falò e gustarsi la vendetta. Sono i cultori della caccia alle streghe e hanno capito che, di questi tempi, indossare il saio di Savonarola o l’armatura di Santa Giovanna D’Arco è un modo per campare bene agli occhi dei benpensanti e riacquistarsi quella presunta onorabilità violata da altri. Non c’entrano destra e sinistra. È una vocazione, un DNA. Il guaio è che il giustizialismo è diventato un’industria culturale che fa affari anche morali.
Il giustizialismo è qualcosa di più di una piattaforma di partito. È un’identità, un biglietto fortunato, una patente da intellettuale. È una galassia di libri, giornali e film.
Il popolo giustizialista ama i teorici della controverità, che sempre più spesso straborda nella teoria del complotto, e venera scrittori o registi come Michael Moore, Oliver Stone e Dan Brown.
Sono loro i nuovi catoni, quelli che cianciano di un mos maiorum reinventato, i “sacerdoti” della Costituzione, gli “evangelisti” della trama eversiva, quelli che sono alla ricerca di un male assoluto che spieghi le miserie umane e che sbrodolano moralismi da tutti i pori.
Questi con astio e un certo odio, camuffato di denuncia apocalittica e di “verginità”, mostrano l’indice, dividendo il mondo in buoni e cattivi. Sono riusciti perfino a imporre un linguaggio, uno stile, che assomiglia molto ai «mattinali» della questura.
Il giustizialismo si abbevera di complotti. È una filosofia che considera la natura umana corrotta. Non ci si può fidare. È un mondo marcio e solo pochi illuminati sono al di sopra di ogni sospetto.
L’Italia (e non solo…), insomma, è un covo di lobotomizzati e protetti. I tintinnatori di pene hanno ribaltato l’onere della prova e come Jean Gabin teorizza che «nous sommes tous des assassins» (“siamo tutti degli assassini”). Tocca a noi dimostrare che non è vero. È un clima da ordalia.
Tu sei colpevole, vediamo se Dio ti assolve. Tutto il resto si muove nell’ombra.
- Trame bianche, nere e rosse. Il giustizialismo gioca sulla sfiducia,
sul sospetto, sulla buona fede dei malfidati, di chi pensa sempre che
dietro ogni storia ci sia una controstoria, losca, segreta, criminale.
Tutto questo avvelena, deturpa e ti lascia in balìa di qualcosa da cui non ti puoi difendere. Parla, parla, qualcosa resterà. I «tintinnatori di sentenze» si sono affidati alla dea fama, pagando tributi al suo volto più cinico: la diffamazione.